Il mantra dell’autoguarigione

Da circa due mesi, sto frequentando una palestra che offre corsi di yoga e discipline analoghe.
Non vado pazza per lo yoga, devo ammetterlo, ma me lo impongo nella speranza che possa ammorbidire la mia marmorea persona, dal punto di vista fisico e mentale. Non sta funzionando, a mio avviso… Ma ho ancora solo una manciata di lezioni prima della fine del pass superscontato che ho acquistato, un’offerta che mi sembrava imperdibile.
A dire il vero, non mi piace molto questo centro. Prima di tutto, si trova in un seminterrato. Io odio i seminterrati. Sono umidi, non filtra la luce del sole, non c’è aria. Le sale sono piccole, e non ci sono limiti alle iscrizioni. Questo significa che, a volte, ci si trova accatastati e senza spazio per fare certi movimenti che lo richiederebbero.
E non mi piace nemmeno la titolare. La trovo spesso scortese, sia nei confronti dei clienti che dello staff. Ogni volta che arrivo o me ne vado, saluto tutti, anche gente che non conosco. Lei non saluta mai, e ti guarda spesso con aria di sufficienza.
Fortunatamente, insegna un corso che decisamente non fa per me.
L’unico elemento davvero positivo di quel centro è il ragazzo che lavora alla “reception”. È un brasiliano, credo poco più che ventenne, e fa parte di quella categoria di persone che, in una stanza affollata, tutti noterebbero.

Nella mia vita, ho avuto la fortuna di incontrare altre due persone come lui.
Matteo lavorava in un ostello di Sydney, dove io e il mio ex migliore amico passammo qualche giorno, ormai molti anni fa. Me ne innamorai al primo sguardo, e oltre a me, credo, praticamente qualunque persona avesse a che fare con lui. Ricordo che una sera ci ritrovammo con lui e un gruppo di ospiti dell’ostello sul tetto, una grande terrazza attrezzata. Birre e chiacchiere. O meglio, Matteo parlava, e noi tutti pendevamo dalle sue labbra. Avrebbe potuto parlarci di qualunque cosa, dalla critica della ragion pura alla ricetta del lampredotto, e noi saremmo stati lì ad adorarlo.
Credo che ora stia seguendo la sua vera vocazione: fare il cantautore. Gira per il mondo con la sua chitarra, ammaliando milioni di persone.

Dopo Matteo, un paio di anni più tardi, è stata la volta di Nish. Frequentavamo corsi diversi dello stesso master, quindi ci siamo conosciuti tramite altra gente del giro dei cooperatori allo sviluppo. A vederlo, non era particolarmente attraente. Eppure, come nel caso di Matteo, incantava chiunque. Era buddista (come Matteo, peraltro), e ci spiegava un sacco di cose sulla sua religione. Ricordo, durante il nostro viaggio in Thailandia, questa scena divertente: ci portarono a visitare un tempio, e Nish, passeggiando, ci spiegava gli elementi del buddismo. Un gruppetto di noi lo circondava, seguendolo, mentre lui, di bianco vestito, recitava il verbo. E anche lì, noi tutti pendevamo dalle sue labbra, novello Gesù del subcontinente.
Lo avrei sposato volentieri.

Il giovane receptionist della palestra di yoga ha molti tratti simili a questi due personaggi. È estremamente gentile, senza apparire falso, e quando ti parla ti guarda negli occhi sempre, ma non con fare serioso o minaccioso. Purtroppo, essendo la scema che sono, ho scoperto il suo nome solo dopo un accurato lavoro di detective/stalker. Purtroppo, ascoltando le sue conversazioni con altre clienti meno riservate, ho scoperto che tra un paio di settimane andrà altrove. Avevo pensato di non continuare a frequentare quella palestra, e lui mi ha dato veramente un’ottima ragione.

Tutto questo per dire che… Mi trovavo in una delle lezioni di yoga, condotta da una ragazza molto carina. La quale, chiacchierando con un allievo che era una specie di sosia di Fedez in versione edulcorata, spiegava di non poter al momento fare massaggi a causa di un problema alla mano. Diceva di essere stata operata, ma che i medici non riuscivano a capire quale fosse il problema.
“Devi recitare un mantra di autoguarigione” – ha consigliato Fedez.
Io ho tanta fiducia nel potere della mente, e sono consapevole del fatto che possiamo influenzare i nostri stati di salute coi nostri pensieri ed atteggiamenti. Cavolo, a volte mi rivolgo anche all’omeopatia, e sono una grandissima fan dell’effetto placebo (mi piace anche la band). Però non so quanto il mantra e il pensiero positivo possano aiutarmi a guarire se ho, ad esempio, un osso rotto.
È anche grazie a cialtroni come lui che poi ci ritroviamo gente che crede di poter curare i tumori mangiando peperoni.
Superata la forte tentazione di mandare tutti in mona, far su il tappetino e andarmene, mi sono concentrata sul mio corpo, sui miei movimenti, sul mio non rompermi l’anca. E alla fine sono corsa fuori cercando il faccino sorridente del receptionist.
La vita è fatta di priorità.

C’è un amico che non sento da tanto, e che dovrei chiamare. Me lo dico ogni giorno, da un po’ di giorni. Perché non trovo il tempo?

On air: Editors – Darnkess at the Door

A volte ritornano

Mi ci è voluto un po’ per decidermi a ricominciare a scrivere. Sarà che non ho grandi avvenimenti da annotare, o semplicemente sono diventata pigra. Ora che ho un uso esclusivo del divano, e ho addirittura una TV moderna, ho scoperto un hobby tutto nuovo: spigozzamento (voce del verbo spigozzare, sonnecchiare) davanti allo schermo. Uno schermo di dimensioni oneste per guardare serie TV e il mio nuovo programma preferito: Casa Mika. Ecco, l’unico altro motivo (il primo è Alberto Angela) per pagare il canone Rai. C’è troppo pessimismo in me, troppa rassegnazione allo schifo, troppo sconforto, e Mika è l’antidoto perfetto. Sorrisi – non risate rumorose – dall’inizio alla fine. Se la sua casa esistesse davvero, è lì che vorrei abitare.

Negli ultimi mesi, dicevo, non sono successe cose incredibili.
Ho affrontato la prima estate italiana dopo quasi 10 anni, e dopo giorni a 40°C ho capito che avevo passato troppo tempo in Inghilterra.
Ho probabilmente prosciugato le fontane di Roma dopo il concerto degli U2, che invece a loro volta mi avevano prosciugato il portafogli. Ho fatto perfino un viaggio a Londra andata/ritorno quasi in giornata per loro (e anche per James).
Ho fatto le ferie (obbligate) ad agosto per la prima volta nella mia vita. Sono tornata a San Sebastian, e sono andata a trovare gli amici a Oxford.
Mio malgrado, ho dovuto rivedere anche il p.d.m., nonostante gli sforzi del destino e degli amici di tenermelo lontano. Avevo già messo in conto un arrivo terribile con atterraggio direttamente sul barbecue a casa di una comune amica (l’unica che lo compatisce), invitata anche la simpatica fidanzata. E invece, alle ore 400, mi sveglio per andare in aeroporto, accendo il telefono e, 250 messaggi dopo, scopro che la casa dell’amica si è allagata, e il barbie è conseguentemente annullato. Spiace per lei, ma sia lode al grande Poseidone, dio delle acque e mio liberatore! Penso che forse un santo in paradiso ce l’ho pure io. La bella sensazione dura poco, perché – si sa – il vero stronzo sa sempre come distinguersi. Nello specifico, si auto-invita ad una festa a casa di N., dalla quale era stato giustamente escluso, ma della quale era venuto a sapere da qualcuno (la classe dell’auto-invito è indiscutibile). Credevo peggio, ma è stato semplice ignorarsi vicendevolmente. Non ci siamo neppure salutati. L’ho intravisto un paio di volte osservarmi o commentare con qualcuno qualcosa che stavo dicendo, ma nient’altro. Ho visto una persona con poco da dire, incapace di relazionarsi con persone che non fossero i colleghi del suo gruppo. Una persona che si è fatta attorno terra bruciata, e senza aiuto da parte mia. Che poi il bello è quello: sicuramente pensa che sia io il grande burattinaio.
Ho visto una persona presentarsi ad una festa di addio di due amiche col solo intento di cercare di socializzare con chi sarebbe rimasto (come alla mia festa di addio, del resto). Ho visto questa persona andarsene senza nemmeno salutare le partenti. Chapeau.
Ho rivisto altri amici, a Oxford. Quelli del quiz. Ho scoperto che la fidanzata di M. in effetti esiste, e un po’ ci sono rimasta male.
Ho rivisto ex capo, col quale occasionalmente ora chiacchiero su WhatsApp. A quanto pare sono il suo unico contatto, a parte un pulitore di finestre (!). Me ne vanto.
Ho anche, in questi mesi, traslocato nella mia nuova casa. Ogni tanto ho incubi a base di coinquilini, ma poi mi sveglio da sola e tiro un sospiro di sollievo. Guardo fuori dalla finestra del salotto, vedo la cupola del Brunelleschi, e penso che poteva anche andarmi peggio.
Ho messo insieme qualche amica, ma dovrei smetterla di confrontare tutto con Oxford o Sydney. Devo darmi tempo.
Ho avuto un paio di “appuntamenti” con un ragazzo molto simpatico, ma temo che le nostre aspettative siano diverse. Ho paura di dover imparare come si fa a friendzonare (sigh) una persona, e temo di non avere le capacità.
Ho iniziato un corso di francese (ci sta), uno di yoga (alternativa a pilates), e uno di ceramica. Ceramica! Prevedo mensole piene di tazze e ciotole sbilenche.
Ho “corso” una DJTen. Mi interessava la maglietta.
Ho riscoperto i piccoli piaceri dell’Italia: tasse, accise e balzelli per qualunque cosa, ritardi e scioperi, inciviltà. Provo profonda ammirazione per gli stranieri che vengono qui e devono navigare la burocrazia, e non  nascondo che mi mancano i bei tempi delle buste paga con 2 o 3 voci al massimo e delle volture gratuite.
Ho visto l’Italia che non si qualifica ai mondiali per la prima volta in 60 anni, cosa che sinceramente speravo di non vedere mai.

Penso spesso all’Australia, e mi manca. A volte chiudo gli occhi e posso ancora andare a piedi da casa mia a Maroubra, scendere la collina e intravedere i primi surfisti. Posso farlo, in realtà, anche ad occhi aperti. Anche ora. Vorrei avere la certezza di poterci tornare presto, e non ce l’ho.

Tra mezz’ora è il mio compleanno. Non ho grandi programmi, non sarà memorabile. Forse dovrei fare bilanci, ma se li facessi non sarei del tutto soddisfatta. E quindi non li faccio.

Pasticcini, prosecco, e al prossimo anno.
On air: Noel Gallagher’s High Flying Birds – Holy Mountain

I sogni son desideri

Beh, speriamo non tutti.

Da quando sono a Firenze sto sognando molto. Ci sono spiegazioni razionali e scientifiche, immagino. Ad esempio il fatto di essere in un posto nuovo, di dover imparare cose nuove, di doversi rapportare con persone nuove. Tutto questo stimola il cervello, che probabilmente elabora i nuovi apprendimenti e li mischia col passato.
Ho sognato molti dei miei amici di Oxford.
Ho sognato che, di punto in bianco, mi ritrovavo con dei coinquilini in questa casa in cui mi è stato promesso che sarei stata da sola fino alla fine della mia permanenza. La paura atavica del coinquilino…
Ho sognato la fidanzata di M. Che non credo che esista, ed è forse (spero) stata solo la mia rielaborazione di quello che ci ha detto lui riguardo ad un evento al quale avrebbe partecipato con questa tizia di cui non avevo mai sentito parlare. Sì, la cosa mi ha messo di malumore. Sì, è ora di prendere atto che avevo/ho una cottarella per M. E forse lui per me, ma è impossibile a dirsi, essendo lui naturalmente privo di emozioni. Si possono cogliere piccoli segnali, volendo. Tipo quando l’altro giorno ho detto che un giorno di luglio sarò in Inghilterra, e lui – che normalmente su WhatsApp latita – è stato il primo a rispondere e a chiedere quanto mi fermerò.
Tipo che è uscito dal lavoro per venire a salutarmi, il mio ultimo giorno.
Tipo che mi ha scritto un messaggio molto carino sul retro del foglio con le domande dell’ultimo quiz che abbiamo vinto insieme.

Vabbè.

Con tutto questo tempo libero, penso molto. Penso che accampo un sacco di scuse. A Oxford, a un certo punto, avevo deciso che la mia permanenza sarebbe presto giunta a conclusione. E allora mi dicevo: perché traslocare? Perché cercare di incontrare qualcuno? Il problema è che non conoscevo la data di scadenza. Mi sono messa in attesa per così tanto tempo.
Lo faccio anche adesso. Quando mi sarò trasferita vicino al centro, la mia vita inizierà. Ma dovrei darmi un po’ più da fare, perché i mesi iniziali in un posto nuovo sono importanti per costruirsi una vita.
Mi sento sola e mi mancano gli amici di Oxford.

Con tutto questo tempo libero, faccio anche cose che non dovrei fare. Tipo sbirciare il profilo del p.d.m. Assurdo, dato che mi ero imposta regole molto rigide, quando ancora eravamo connessi: divieto assoluto di visitarlo, e non ho mai sgarrato. Ora che l’ho eliminato, vado a sbirciare. Credo anche che non sia casuale il fatto che lui metta molti post pubblici… Ad ogni modo, il motivo è ovvio: vorrei saperlo triste e infelice. Ma so bene che i social esistono per proiettare solo la nostra immagine migliore. Sto perdendo altro tempo.
Che poi, cos’altro voglio? Lo conosco per quello che è. E col cazzo che gli auguro la felicità: gli auguro semplicemente di vivere la vita che si merita, e di perdere qualche minuto, ogni tanto, a ricordarsi cos’ha gettato al vento.

Sto iniziando la mia nuova vita riguardando per l’ennesima volta Scrubs. Ricordo di averlo fatto appena trasferita ad Oxford, e forse è il mio rituale di inizio vita. Lo riguardo, e per forza di cose rivedo me e il p.d.m. in JD e Elliott. Com’è possibile che abbia lasciato accadere tutto, ben sapendo come sarebbe andata? Riguardandolo, mi sono ricordata di quanto sia stronza Elliott (molla più volte JD, lo costringe a starle accanto anche quando lei è fidanzata e lui soffre tantissimo; molla Keith 2 giorni prima del matrimonio!). E ho pensato “questo dovrebbero fare gli amici. Dovrebbero essere come JD”. Poi però, prima di farmi prendere dal senso di colpa, mi sono ricordata di un paio di cosette: un amico per il quale sacrificarmi in questo modo dovrebbe quantomeno dimostrare di non vergognarsi di me, ed eventualmente ritenermi degna di essere informata di certe cose.
Fine del senso di colpa.
Mi passerà tutto, ma il conteggio inizia purtroppo di recente, non due anni fa, quando avrei dovuto chiudere tutto.

Perdo altro tempo. Intanto i Chris Cornell se ne vanno, e io rimango con un ricordo sbiadito di una sera all’Opera House.
E una bottiglia di birra dimenticata a casa dei miei da quasi 3 anni.

Chissà cosa sognerò stanotte.

On air: Beck – Dreams

The last time

Domani parto. I bagagli sono più o meno pronti, i pacchi sono spediti. L’immondizia è stata cestinata.

Iniziava così il post che avevo cominciato a scrivere quasi esattamente un mese fa.
Era il 3 maggio, ed era la vigilia della mia Brexit.

E’ successo tutto molto in fretta. Un bel giorno Firenze ha chiamato, aveva molta fretta. In poco più di un mese ho dato le dimissioni, ho impacchettato la stanza, ho salutato gli amici e sono partita. Sono stata a casa 2 giorni, e ripartita subito dopo. Chi si ferma è perduto.

Oxford sembra una vita fa. In un attimo, sono svanite le sere al pub, le chiacchiere con F. e N., il quiz, il cinema.
Il giorno che sono partita, R. mi ha accompagnato a prendere l’autobus per l’aeroporto. Man mano che il giorno si avvicinava, mi rendevo conto di cosa stava per accadere. Ma non volevo sembrare troppo emotiva, volevo fare l'”ometto”. In 3 occasioni ho palesemente ceduto: quando ho salutato ex capo; alla mia festa di addio, quando James è andato via, e, ubriaco, non mollava l’abbraccio; gli ultimi minuti con R. prima di salire sul pullman – lì non ce l’ho più fatta a trattenermi. Ho odiato l’Inghilterra per molte ragioni, ma dal punto di vista umano, quello che ho trovato (salvo rare eccezioni) è stato straordinario. So che non mi ricapiterà più. Ma è anche vero che Oxford è una terra di mezzo, un luogo di passaggio. Molti prima o poi se ne vanno. Egoisticamente parlando, ho preferito essere io ad andarmene, piuttosto che assistere allo stillicidio di partenze. Ma è tutto facile, a posteriori.

Il capitolo p.d.m. è stato ufficialmente chiuso. Ho messo io il punto, e con molta amarezza. Dato che non era ancora stato abbastanza stronzo, ha pensato bene di portare la sua fidanzata alla mia festa di addio. Chissà, forse voleva accertarsi che partissi davvero. Temevo che l’avrebbe fatto, ma al contempo speravo che non arrivasse a tanto. Speravo avesse la decenza di tentare almeno di lasciare un ricordo discreto, ma forse preferisce la damnatio memoriae. Non l’ho guardato in faccia né gli ho rivolto la parola per tutta la sera. Tanto credo che fosse venuto solo per cercare di ricucire i rapporti con gente che non lo sopporta più. Ha superato tutti i limiti, e con una nonchalance vergognosa. Il giorno dopo, complice forse anche il fatto di non aver dormito per vedere l’alba del May Day, ero livida di rabbia. L’ho immediatamente rimosso di nuovo da FB, e ho valutato il da farsi. Il giorno seguente, faccia come il culo, ha avuto il coraggio di presentarsi a pranzo con alcuni colleghi. Nuovamente ignorato, a quel punto ormai era sceso nel ridicolo.
Mentre mi avviavo alla fermata del bus, sono passata davanti a un gommista. La radio suonava a tutto volume The Last Time. Ho capito che l’universo mi stava mandando un messaggio, e anche piuttosto chiaro.
Tornata a casa di R., dove soggiornavo per gli ultimi giorni, e poiché mi trovavo temporaneamente chiusa fuori (!), mentre aspettavo gli ho scritto che avrei voluto parlargli, se l’indomani fosse venuto a pranzo.
“Quale sarà il tono della conversazione?”, ha chiesto prontamente il paraculo.
Qualche messaggio dopo gli avevo dato il benservito. Mai lette tante cazzate in una volta sola, e ancora un po’ mi mangio le mani perché potevo dirgli un altro paio di cosette, ma alla fine vaffanculo, fuori dalla mia vita. Quanto tempo, quanta energia buttata per cercare di salvare una cosa che sapevo benissimo che non poteva essere salvata.
L’ho raccontato a R. (e a un altro paio di persone), senza addentrarmi nei retroscena. R. era abbastanza sorpreso, soprattutto per la modalità, ma ha capito un po’ delle motivazioni. Nemmeno a lui è particolarmente simpatico, non lo considera un amico. [Per inciso, il p.d.m. l’ha sempre guardato con sospetto, perché R. è tutto quello che lui non è: disponibile, simpatico, solare, amico di tutti, piace a tutti, la persona più altruista al mondo].
Mi ha fatto bene parlargli, perché ormai questo segreto di stato mi stava facendo impazzire.
Il giorno dopo, a pranzo, non si è presentato. Lo immagino a casa con la sua padroncina, a festeggiare la mia dipartita, fisica e metaforica. O forse a domandarsi a chi dare la colpa di tutto quello che va male, ora che io non ci sono più (c’è chi dice che sarà comunque colpa mia, perché me ne sono andata).

Il mio ultimo giorno è stata l’ennesima dimostrazione che, per ogni stronzo che la vita mette sul tuo cammino, c’è molta più gente bella per la quale essere grati.
S. ha colto al volo il mio suggerimento per pranzo, così non sarei stata sola a casa a far passare il tempo prima di andare in aeroporto.
M. è uscito prima dal lavoro per venire a salutarmi, nonostante lo avesse già fatto due giorni prima.
R. si è confermato il tesoro che ho sempre saputo che fosse.

Sono nella mia stanza fiorentina, con la finestra aperta e per la prima volta con un letto senza piumino. Nell’aria c’è odore di gelsomini.
Spero di aver fatto la cosa giusta.

Gente di mare, che se ne va

Dopo innumerevoli tentativi, incessanti minacce, centinaia di CV spediti al continente, tra poco meno di una settimana lascerò quest’isola dimenticata da Dio. La mia personale Brexit è in procinto di diventare realtà.

Mi sembra incredibile. Ne ho parlato tanto, praticamente ho desiderato di andarmene dal momento in cui sono arrivata, eppure non riesco ad esaltarmi. Il lavoro che ho trovato in Italia è ottimo, almeno sulla carta. Vicino a casa, ma non troppo; ottimi benefit, probabili opportunità di carriera.
Quello che mi spaventa è il dover ricominciare da capo, di nuovo, in una nuova città. L’ho fatto quando mi sono trasferita in Australia, e l’ho rifatto quando sono arrivata qui. Mi è sempre andata bene, specialmente proprio qui, dove – per quanto io mi lamenti – ho trovato un gruppo di amici stupendi. Ce la farò di nuovo? E se i miei colleghi fossero una manica di stronzi? Se non mi trovassi bene?
Ma, alla fine, Oxford è un porto di mare: tutti, prima o poi, se ne vanno. Penso ad esempio a come era diverso il gruppo di amici “storici”, anche solo un paio di anni fa. Penso a chi se n’è andato fisicamente dalla città, e a chi semplicemente ha deciso di sparire.
Forse, egoisticamente parlando, è meglio partire. Ognuno, prima o poi, se ne andrà altrove. O forse è semplicemente più semplice pensarla così, perché la realtà è che, quando te ne vai, il mondo continua a girare, anche senza di te. Nessuno si ferma mentre raccogli i pezzi del tuo cuore spezzato, e nessuno si ferma se tu te ne vai.
Tornerò qui in estate, e già immagino che saranno cambiate cose. Qualcun’altro se ne sarà andato, o sarà in procinto di farlo.

Ieri ho salutato ex capo. Praticamente il primo addio “ufficiale”. Abbiamo passato un paio d’ore a bere birre e chiacchierare. Al momento dei saluti, mi ha gettato addosso una serie di complimenti che, detti da lui, per me valgono oro: è stato bellissimo lavorare con te, sei fantastica, ogni volta che faccio un colloquio a qualcuno penso “c’era una persona davvero bravissima…”. L’ho abbracciato, e poi sono corsa verso il bus col magone. Ex capo è stato papà, fratello, amico, mentore, e senza alcun dubbio il capo migliore della mia vita. Se fossero tutti così, lavorare sarebbe davvero un piacere.

L’altro giorno ho anche fatto l’ultimo pub quiz con la mia super squadra. E l’abbiamo vinto, grazie ad uno stupendo punto segnato dalla sottoscritta al tie-break. I fogli del quiz mi sono stati offerti come trofeo personale, non prima che i miei amici li arricchissero di messaggi carini per me. Non mi congratulerò mai abbastanza con me stessa per aver superato l’imbarazzo e la depressione del periodo di merda che stavo vivendo, ed aver chiesto i loro contatti prima che L. se ne andasse. In questi 6 ragazzi ho trovato un autentico tesoro.

La mia stanza è praticamente tutta impacchettata. Tra 2 giorni uscirò da quella porta per non tornare mai più. A nessuno importa niente, e per parte mia non provo altro che indifferenza. Non vedo l’ora di iniziare una nuova vita senza coinquilini.

Quanto alla mia dipartita da qui, ho cominciato a rendermi conto delle emozioni proprio quando ho salutato ex capo. A quel punto ho cominciato a mettermi nell’ordine di idee che tutte queste persone che vedo e sento ogni giorno presto spariranno dalla mia vita. Resteremo in contatto, ci rivedremo presto, ma sarà tutto in un’altra dimensione.
D’altra parte, negli ultimi 2 anni qui sentivo che la mia vita si era praticamente cristallizzata. Ero pronta ad andare via, e per questo non muovevo nulla. Non cambiavo casa perché tanto dicevo che l’avrei fatto solo quando avessi deciso di cambiare quantomeno città. A pensarci bene, ho perso molto tempo.

Quando l’ho detto al p.d.m., che era al corrente del mio iniziale colloquio per questo nuovo lavoro (fu 2 anni fa, quando eravamo ancora amici), ha detto che era una bella notizia, che sicuramente mi sentivo sollevata. “Anche tu sarai sollevato”, gli ho detto.
“Mi manchi nella mia vita. Sarà agrodolce quando il momento arriverà”. Agrodolce?!? Resta che non ha proferito parola, non ha chiesto nulla. Neanche io l’ho fatto, ad essere sinceri, ma quantomeno non gli ho mai neanche fatto presente che mi manca. Dopodomani lo vedrò per l’ultima volta.
Un paio di mesi fa mi aveva contattato per lamentarsi del fatto che non veniva invitato ad uscire – i veri amici ti contattano per queste cose importanti. Non avendo più alcun freno e/o bisogno di essere cortese con lui, gli ho spiegato chiaramente cose che già gli avevo spiegato, aggiungendo che basterebbe solo chiedere. Son pur sempre i suoi colleghi. Io me ne sono andata da un anno.
Ho colto la palla al balzo per sfoderare la mia anima scorpionica, informandolo che mi amareggiava il fatto di essere sostanzialmente accusata di tenerlo fuori dal giro (non mi amareggiava un bel niente, a dire il vero, a parte forse la sua faccia). Salta fuori che teme che gli altri sappiano della nostra storia, e questo potrebbe aver influito sull’opinione che hanno di lui. Ahah! Prima di tutto, se gli altri sapessero la storia, credo che riceverebbe un trattamento ben peggiore di un mancato invito al pub. In secondo luogo, e cosa più importante: ad avere la coscienza sporca si rischia di diventare paranoici. Attenzione!
Come sempre ci ha tenuto a farmi presente che conserva bellissimi ricordi dei bei tempi con me, e che gli manco. “Anche tu – gli ho detto – ma preferisco far finta di non averti neanche mai conosciuto, visto che non posso neanche parlarti in privato o vederti per una birra”.
Spera che la situazione migliorerà, un giorno. Beh, gran coglione, ecco fatto: come sempre, devo fare tutto io.
Ora però lui e lei a chi daranno la colpa quando le cose vanno male?
Risposta della mia amica che lo conosce: a te, perché sei andata via. Touchée.

Nel 2016 ho imparato che…

… anche le persone che credevi affidabili, e che immaginavi ti sarebbero state accanto per il resto della vita, possono deludere in maniere che non ti aspettavi.

Nel giro di un paio di giorni, un’amicizia di quasi 13 anni è terminata. La cosa incredibile? Non se ne capisce il motivo. O meglio, il motivo credo sia molto chiaro nella testa della persona che unilateralmente ha deciso di mandare tutto in vacca, ma purtroppo non son degna di avere chiarimenti, o di replicare. Sicuramente è più semplice avere ragione quando l’interlocutore viene zittito.
Costui ha comunque fatto una grandiosa figura di merda in mondovisione, avendo lasciato perplessi in molti, oltre a me. Soprattutto se si pensa che uno, alla soglia dei 40 anni, ti blocca e ti bestemmia dietro per una foto (innocua) immediatamente cancellata. Che credo sia il “casus belli”, anche se penso ci sia altro sotto, ma chissà.
Ci son rimasta molto male, e mi sono amareggiata. Era una persona alla quale tenevo, con la quale ho condiviso molto, moltissimo. Se il p.d.m. è una merda, questo figuro vince a mani basse il trofeo di persona più disgustosa e spregevole della storia. Soprattutto dopo l’ultimo messaggio che mi ha mandato, così imbarazzante e carico di cattiveria e odio che veramente mi son chiesta chi cazzo di persona fosse questa a cui avevo dedicato tanti anni della mia vita.
La fine dell’anno mi è venuta in aiuto. Ho pensato che non valesse la pena traghettare nel 2017 una persona così cinica e piena di odio. Dopo la storia del p.d.m, mi ero ripromessa di non dare più corda a persone schifose, ciniche, negative (più di me), e in generale a chi cercasse di minare la mia autostima o la mia pace interiore. Ho iniziato buttando via un po’ di foto e oggetti vari. Una bella tela che avevo fatto con le nostre foto ha cessato di esistere in un cassonetto in via Irma Bandiera, appena fuori dal centro di Bologna. E poi, il 31/12, ho preso una sua foto, e – a casa di un’amica – le ho dato fuoco. Un piccolo incendio catartico. Non ne parlerò più. Ma è stato quasi commovente vedere la preoccupazione ed il supporto di amici vicini e lontani, unanimi nel considerare questa roba una assoluta follia, unita a manie di persecuzione ed ego smisurato e totale mancanza di umiltà. Perché, come ha fatto notare una mia amica, quelli che ti dicono “dovevi saperlo che cosa hai fatto” soffrono evidentemente di narcisismo patologico, e io di mestiere non faccio lo psichiatra. Tutto questo mi ha fatto riflettere molto su vari temi, primo tra tutti l’importanza di avere un lavoro. Non solo per quanto riguarda l’aspetto economico, ma principalmente per quanto riguarda la convivenza civile. Ché se uno avesse a che fare quotidianamente con dei colleghi (evidentemente non è il suo caso), imparerebbe l’arte del compromesso, e anche la diplomazia. Sembrano cazzate, ma stare solo a contatto con amici e parenti non fa bene. Magari un giorno si pentirà di quello che ha fatto, ma è troppo presuntuoso e supponente e orgoglioso per ammetterlo. Non chiederà mai scusa. Mi fa pena una persona così.

Per converso, il giorno dopo capodanno ho rivisto un vecchio amico ed ex collega. Di solito, quando torno in Italia e abbiamo tempo, ci vediamo per pranzo. Questa volta, mi è capitato il turno serale. Arrivare col buio, l’ufficio tranquillo, rifare alcune delle cose che facevo quando lavoravo lì… E’ stato come un flash back a più di 10 anni prima. Spenti i computer, siamo andati in cerca di un locale per una birra (missione più ardua del previsto). Ero uscita di casa alle 20 pensando di star via un’oretta o poco più, e dopo mezzanotte eravamo ancora lì a raccontarci la vita. C’è stato un momento in particolare che ho messo in cornice: dopo aver passato in rassegna i miei numerosi lavori e spostamenti nel mondo, a un certo punto mi ha detto, sorridendo: “Certo che ne hai fatta di roba, tu!”. E me lo ha detto con gli occhi pieni di sincera ammirazione, e forse un po’ anche di orgoglio, perché in fin dei conti io sono un po’ un suo “prodotto”, anche se alla fine ho cambiato completamente strada rispetto a quando lavoravamo insieme. In un attimo, ogni dubbio è sparito. Ogni perplessità si è dissipata. Ho pensato che sì, ho intrapreso un percorso incasinato e pieno di ostacoli e rotture di palle, ma strada ne ho fatta tanta, e tanti traguardi sono stati raggiunti. Non avrò raggiunto l’indipendenza e la maturità in senso stretto, o secondo i canoni previsti dalla società (casa di proprietà, matrimonio, figli, lavoro stabile…), ma, per dirla in maniera elegante, non sono neanche una povera sfigata. Ed è facile dimenticarselo, mentre ci si guarda attorno e si pensa solo a ciò che si vorrebbe e non si ha, invece di rendersi conto di quanto si vale.

Ho riflettuto sull’anno appena finito. Farò un piccolo bilancio, a breve. Di roba ne ho fatta, io.

 

A volte ritornano

Non scrivo da tanto. Un misto di mancanza di tempo (plausibile, avendo trascorso praticamente ogni weekend da qualche parte nel mondo che non fosse Oxford, e dovendo lavorare per il resto del tempo), e di mancanza di argomenti.

Potrei parlare del referendum e del mio primo voto all’estero. O della doccia in mezzo alla stanza nell’hotel di Vienna, o delle escape room (quella di Bologna batte quella di Oxford), o del lecca lecca alla ddddroooga di Amsterdam, o della valanga di acqua caduta dal cielo di Malaga. Potrei parlare un altro po’ delle Azzorre, o del Lake District e i colori dell’autunno, e un gruppo di amici belli che si lasciavano illuminare dal sole di un tramonto inglese come pochi ne ho visti da quando sono qui.
Potrei parlare del mio primo compleanno in Inghilterra, e di quanto piacere mi ha fatto riuscire a riunire tanti amici in un anonimo mercoledì di novembre. Ricevere biglietti, cioccolatini, una torta con le candeline, tanti abbracci e sorrisi. Io, che sempre fuggo per i compleanni, mi sono resa propriamente conto che qui non è poi male.
Potrei parlare dei 5 colloqui di lavoro in una settimana, e magari del nuovo lavoro che – scartoffie permettendo – inaugurerà il mio 2017. Ne ho bisogno. Dove sono ora non va. O meglio, il lavoro va, è tanta della gente che ci sta in mezzo che non va. Classico risultato di una fuga rocambolesca, ovvero prendo quello che prendo, pur di scappare. Diciamo che di una cosa sono sicura: con le grandi banche di investimento ho chiuso. Detesto il loro operato e la maniera in cui trattano i propri dipendenti (e io, per inciso, non sono un loro dipendente), e in generale rovinano il mondo. Soprattutto, nel mio caso specifico, detesto la loro totale mancanza di collegamento con la realtà, che tanti grattacapi mi ha dato e tuttora mi dà. Basta. Dall’anno prossimo si punta sulla matematica!

Dall’anno prossimo si dovrebbe tentare anche di far fuori in maniera definitiva certe palle al piede che non mollano. Il p.d.m. non demorde nella sua follia. Qualche settimana fa gli ho proposto un evento a cui sarei andata con una collega (non sia mai che io e lui usciamo soli), per tastare il terreno. “Purtroppo” non poteva in quanto in partenza per l’Australia (in realtà lo sapevo, e sapevo di cadere in piedi. Qualcosa avrò pure imparato dal re dei paraculi), ma gli averebbe fatto piacere vederci al suo ritorno, ovviamente su mio suggerimento. Appena atterrato mi ha scritto. L’urgenza di vedermi in settimana era dettata dal fatto che la sua padrona era ancora agli antipodi, e questo ci lasciava una ghiotta opportunità di vederci per un paio di losche birre. Mi ci è voluto un attimo a rispondergli perché mi erano cadute le braccia (e mi era scesa la catena), ma OK, vediamoci pure con massima urgenza. Abbiamo fatto gli amiconi e ci siamo salutati senza toccare nessun argomento delicato (tipo: che amicizia di merda è una dove ci evitiamo attivamente?). Ma a me le cose lasciate a metà danno abbastanza noia, e così gli ho detto (via messaggio, ché ormai è una gara a chi paraculeggia di più) che così non va, che non posso sempre essere io a prendere l’iniziativa, e che mi sono rotta i coglioni davvero (quest’ultima parte è un omissis).
“Ci provo, ma ho le mani legate”. E via la pappardella di come lui stia mettendo a rischio la sua relazione per mantenere un’amicizia con me (di quale amicizia parli?). Molto bene. Se queste sono le condizioni, non credo che correrai più rischi, in futuro.
Segue la solita pappardella sulla mia responsabilità nei di lei confronti (ebbbasta), e la chicca: però mi farebbe piacere che ci riconnettessimo su FB. E’ strano vederti nelle foto degli altri e avere l’impressione che io sia uno sconosciuto. Uhm… E qui ho preso tempo, perché qualunque cosa mi venisse in mente avrebbe scatenato ulteriori vespai. Cose tipo: ma perché, io e te ci conosciamo? Oppure: ti vuoi fare i cazzi miei senza dovermi parlare? O anche: beh, ti aggiungeresti alla folta schiera di “amici” che stanno lì ma ai quali raramente rivolgo la parola. Benvenuto.
Mi sono riservata il diritto di pensarci e fargli sapere più avanti. Su FB non custodisco certo segreti di stato, e fondamentalmente non mi importa molto se lui può vedere le mie foto (fermo restando che lui resterà bloccato a vita), ma fatico a capire il senso di questa cosa. Però il lato buono che purtroppo mi domina gli vorrebbe dare questo contentino. Chissà perché è così importante per lui.

Ad ogni modo, questa cosa del rendez-vous l’ho fatta soprattutto per me. Un anno e mezzo di counselling e lavoro per ricostruirmi, e devo pur verificare come stanno le cose. Ho constatato con piacere che riesco a vedere la situazione in maniera perlopiù distaccata. Quando lui mi dice che gli mancano i momenti che passava con me, io penso che a me invece non mancano. O meglio, è un ricordo che rimane nel passato, e verso il quale non provo più nostalgia. E’ una cosa che deve essersi affinata col tempo, perché provo lo stesso nei confronti di molte cose: se, per esempio, 10 anni fa avevo nostalgia dell’Australia, e stavo male perché volevo tornarci ad ogni costo, oggi ripenso a quell’esperienza come una cosa bellissima che fa parte del passato, e lì deve restare. Avrò sempre con me ricordi bellissimi, abbinati però alla consapevolezza che quei momenti non possono tornare, e sarebbe stupido desiderarlo.
Le cose cambiano, le persone altrettanto. Ovviamente avrei piacere di riprendere i contatti con una persona alla quale tenevo molto, e forse un po’ ci tengo tuttora, altrimenti non mi impegnerei tanto a cercare di sistemare le cose, e non me la prenderei quando ricevo certe risposte. Ma siamo al fragile punto di rottura in cui ormai non fa differenza sia che si ritorni in contatto, sia che ci si mandi reciprocamente affanculo. E secondo me lui questa cosa non l’ha capita. Non ha nemmeno capito che non siamo più amici. Forse dovrei smetterla di essere diplomatica e dirgli le cose come stanno.

Nel frattempo, da un angolino nascosto del mio torbido passato, è tornato a spuntare il mitico Brendan detto Robby, il personaggio che tanto filo da torcere mi diede nei miei primi anni australiani. Uno stronzo di prima categoria, ma che ritengo avesse comunque molta più onestà intellettuale del p.d.m. Uno che, accidenti a lui, mi eliminò da FB anni fa. Avrei voluto farlo io per prima.
Ebbene, questo signore è rispuntato su Instagram, e ora mi segue. E fa pure belle foto, e ha il “mi piace” facile. Chissà che vuole. Magari anche a lui mancano i bei vecchi tempi.

L’estate è finita

Lo dico senza particolare tristezza, perché quest’isola dimenticata da Dio ha messo in scena una inaspettata settimana di fine estate pressoché perfetta.
OK, metà settimana l’ho trascorsa tra le quattro mura di una vecchia scuola di Leeds, ma c’era il sole, e un bel caldo (un po’ troppo caldo in effetti, per un palazzo senza aria condizionata), e la semplice sorpresa di trovarsi con temperature vicine ai 30°C, in Inghilterra, in settembre. Cose mai viste.

Se le previsioni sono giuste, tutto finirà domani. E quindi oggi mi sono concessa un ultimo sfizio: un paio di birrette in un pub all’aperto, avvolta dalla luce tenue del sole d’autunno. Abbastanza caldo da poter stare all’aperto in maglietta, ma con la sensazione di poter scorgere la foschia di ottobre all’orizzonte. Ché, ve l’ho già detto, qui l’autunno arriva prima.

In questi giorni, ho cercato di mettere in pratica il mio buon proposito di capodanno: leggere di più. Dopo anni che se ne stava parcheggiato in libreria, ho preso in mano Oceano Mare di Baricco. Un libercolo apparentemente leggero, ma in effetti leggero solo di peso. Ho cominciato a fare orecchie qua e là per ricordare i passaggi che più mi sono piaciuti. Ad oggi il più toccante è sicuramente questo:

         Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno – un padre, un amore, qualcuno – capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume – immaginarlo, inventarlo – e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate della corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Basterebbe la fantasia di qualcuno – un padre, un amore, qualcuno. Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente, e bella. Una strada da qui al mare.

La vita sarebbe dolce.

Dolce come un ricordo.
L’altro giorno ascoltavo un podcast di Deejay Chiama Italia, e alla fine dell’intervento partiva una canzone. Immagino sia stata famosa l’anno scorso, ma per me è semplicemente la colonna sonora del mio viaggio in Australia.
Qantas ha questa bella abitudine (che sinceramente non ricordavo): creare delle playlist mensili, che suonano nella cabina durante l’imbarco e la discesa. Meglio di quella lagna alienante di British Airways, anche se devo dire che le canzoni datate di Sata Air Açores avevano un loro perché.
E allora questo pezzo, che forse era il primo della playlist, o semplicemente ha catturato la mia attenzione più di altri, per me ha il dolce ricordo di una fredda sera del novembre inglese, seguito da una calda notte del novembre di Perth. E ha l’agrodolce ricordo di un assolato pomeriggio di Sydney, e di una buia mattina di Londra. Quante cose, in pochi minuti di musica.

 

Cagnolini in prestito (Borrow my Doggy)

Ieri, mentre mi dedicavo ad una delle mie attività preferite, vale a dire la perdita di tempo (vedi post precedente), mi sono imbattuta in quello che potrebbe essere il passatempo più fantastico di sempre: cagnolini in prestito.

Il servizio Borrow My Doggy è una specie di social per cani e padroni di cani (per dirla con Elio), che mette in contatto padroni con poco tempo a disposizione per i loro amici pelosi, e amanti dei cani che per vari motivi non possono averne uno. L’aspirante prestatore crea un profilo spiegando perché vorrebbe tantissimo un cagnolino in prestito, e il sito mostra i cani disponibili nel raggio di un paio di miglia. Sta poi ai vari padroni contattare coloro che ritengono adeguati ad occuparsi del loro cucciolo per qualche passeggiata o qualche ora di dog sitting nel weekend.

Non nascondo di aver tentato di vendermi meglio di quando scrivevo le lettere di accompagnamento ai CV: avere un cane mi manca da morire, e non nascondo nemmeno che una bella fetta della mia gioia quando ritorno a casa in Italia ha quattro zampe e scodinzola tantissimo. Questo sarebbe il compromesso perfetto: un cane a chiamata, che colmerebbe i miei vuoti affettivi senza il rischio di dover essere trascurato, come accadrebbe se avessi davvero un cane tutto mio. Chissà, un giorno riuscirò a coronare il sogno di un cucciolo.

Penso da sempre che gli animali domestici siano un toccasana per gli umani. Alleviano lo stress, ti fanno compagnia, ti insegnano cosa vuol dire amare e cosa vuol dire essere amati. Ma sul serio.
La prima amica che ricordo aveva quattro zampe e si chiamava Mela. Ricordo di aver giocato molto di più con lei che con mia sorella. Perderla è stato il primo grande dolore della mia vita. Sono passati 20 anni e lo ricordo come fosse ieri. Non sono nemmeno così convinta di aver superato il trauma.
Otto è venuto praticamente subito dopo. Ci abbiamo messo un po’ a carburare. Avevo la sensazione che fosse arrivato come sostituto di qualcuno di insostituibile. Abbiamo avuto alti e bassi, ma ricordo anche quando ho salutato lui per l’ultima volta. Partivo per l’ennesimo viaggio, e avevo la netta sensazione che non ci saremmo rivisti al ritorno. Avevo ragione. Anche se non eravamo migliori amici, il vuoto si sentiva.
E come in uno stillicidio, l’ha seguito “Micio”, il gatto bicentenario, arrivato alla soglia dei 21 anni durante i quali ha perso svariate vite. Il gatto più stronzo della terra, amichevole come un mitra puntato alla schiena, il terrore degli ospiti. Ho conosciuto, dopo di lui, un gatto ancora più stronzo e borderline emo (si strappava la pelliccia a morsi, l’equivalente felino di tagliarsi). Bello e problematico come solo certi felini sanno essere.
Il vuoto di animali, a casa mia, è durato parecchio. L’ho colmato io per qualche tempo, stringendo amicizia con la gatta della mia coinquilina in Australia – una micia che mi ha salvato dalla depressione delle mie settimane da disoccupata. Come solo gli animali sanno fare, forse nemmeno rendendosene conto.

E poi è arrivato Buck. Che, pensandoci bene, sembra un po’ il riassunto di tutti i precedenti pelosi di casa. E’ arrivato quando ne avevo più bisogno, e anche lui, come gli altri in maniere diverse, mi ha salvato in qualche modo. Anche solo ricordandomi che esiste amore incondizionato, e che non tutto è perduto finché c’è qualcuno che scodinzola.

Riassumendo, sto aspettando con ansia che qualche padrone mi contatti per portare a spasso il suo cucciolo. Scambi di felicità. C’è qualcosa di più bello, forse? Io non credo.