Bright lights, big city

New York non è ospitale. E’ molto grande e non ha cuore. Non è incantevole, non è amichevole. E’ frenetica, rumorosa e caotica, un luogo difficile, avido, incerto. New York non fa nulla per chi come noi è incline ad amarla, tranne far entrare dentro il nostro cuore una nostalgia di casa che ci sconcerta quando ci allontaniamo e ci domandiamo perché siamo inquieti. A casa o fuori, abbiamo nostalgia di New York non perché New York sia migliore o peggiore, ma perché la città ci possiede e non sappiamo perché.

– Maeve Brennan

 

Un paio di settimane fa sono tornata a New York. Mancavo da ben 6 anni.
E pensare che per tanto tempo l’ho snobbata, ritenendola un luogo che sì, forse poteva essere interessante, ma sicuramente l’America poteva offrire di meglio. 
New York è esattamente come descritto in questo trafiletto, ripreso da un libro che mi è arrivato poco dopo essere tornata dal viaggio (che tempismo!). E’ grande, incasinata, per certi versi minacciosa – coi suoi palazzi altissimi, i tombini fumanti, i tunnel scuri della metropolitana – ha un clima strano, estremo. Viverci non è semplice, ti porta via tanta energia. Eppure… Eppure, quando te ne vai, ti manca. 
Tornandoci, ho notato con piacere di ricordare ancora molto, di sapermi muovere bene.
Ho notato molti cambiamenti, come ad esempio nella zona del World Trade Center. L’ultima volta che ci ero stata, era un grande cantiere. Ora lo è ancora, ma qualcosa è stato terminato. One World Trade Centre, l’edificio più alto, l’osservatorio su tutta la città. L’ascensore più veloce, il più del più… E, ovviamente, il centro commerciale poco distante. Quello che ha catturato l’attenzione di metà del mio gruppo, quella venuta per lo shopping selvaggio e il pendolarismo Times Square – 5th Avenue.
Se c’è un posto che detesto a New York è Times Square. Le luci al neon sono belle viste una volta. Poi però i miei occhi si focalizzano sui ristoranti turistici, i negozietti di souvenir brutti, la troppa gente. Quando abitavo a New York, ogni tanto andavo al cinema da queste parti. Diversamente, Times Square era solo la stazione di scambio della metro che prendevo per andare a lavorare. 
A metà vacanza, ho cambiato hotel. Avevo prenotato un posticino in Upper West Side, e finalmente ho iniziato a respirare. Strade ampie, case bellissime e ancora addobbate per Halloween, caffè e ristoranti finalmente uno diverso dall’altro. Era come essere in un’altra città.
Ed era come non essere in città il Giardino Botanico del Bronx. Un’oasi di natura a poca distanza da Manhattan. Il regno del foliage, che tanto attira i viaggiatori in questa parte del mondo. Mentre nel resto della città si correva la maratona, io passeggiavo in un fazzoletto di foresta nativa, conservata uguale a prima dell’arrivo europeo in nord America. 

Foliage

L’East Village non è cambiato per nulla, invece. I suoi murales al loro posto, i negozi, i miei ristoranti preferiti, le avenues larghe e poco trafficate, le strade alberate. Tutto lì, dove lo avevo lasciato. E dove avevo lasciato un frammentino di cuore.

Oggi compio l’ennesima rivoluzione attorno al sole. Comincio ad abituarmi all’idea che Firenze sia casa.

Ma resta il fatto che
A casa o fuori, abbiamo nostalgia di New York non perché New York sia migliore o peggiore, ma perché la città ci possiede e non sappiamo perché.

A volte ritornano

Mi ci è voluto un po’ per decidermi a ricominciare a scrivere. Sarà che non ho grandi avvenimenti da annotare, o semplicemente sono diventata pigra. Ora che ho un uso esclusivo del divano, e ho addirittura una TV moderna, ho scoperto un hobby tutto nuovo: spigozzamento (voce del verbo spigozzare, sonnecchiare) davanti allo schermo. Uno schermo di dimensioni oneste per guardare serie TV e il mio nuovo programma preferito: Casa Mika. Ecco, l’unico altro motivo (il primo è Alberto Angela) per pagare il canone Rai. C’è troppo pessimismo in me, troppa rassegnazione allo schifo, troppo sconforto, e Mika è l’antidoto perfetto. Sorrisi – non risate rumorose – dall’inizio alla fine. Se la sua casa esistesse davvero, è lì che vorrei abitare.

Negli ultimi mesi, dicevo, non sono successe cose incredibili.
Ho affrontato la prima estate italiana dopo quasi 10 anni, e dopo giorni a 40°C ho capito che avevo passato troppo tempo in Inghilterra.
Ho probabilmente prosciugato le fontane di Roma dopo il concerto degli U2, che invece a loro volta mi avevano prosciugato il portafogli. Ho fatto perfino un viaggio a Londra andata/ritorno quasi in giornata per loro (e anche per James).
Ho fatto le ferie (obbligate) ad agosto per la prima volta nella mia vita. Sono tornata a San Sebastian, e sono andata a trovare gli amici a Oxford.
Mio malgrado, ho dovuto rivedere anche il p.d.m., nonostante gli sforzi del destino e degli amici di tenermelo lontano. Avevo già messo in conto un arrivo terribile con atterraggio direttamente sul barbecue a casa di una comune amica (l’unica che lo compatisce), invitata anche la simpatica fidanzata. E invece, alle ore 400, mi sveglio per andare in aeroporto, accendo il telefono e, 250 messaggi dopo, scopro che la casa dell’amica si è allagata, e il barbie è conseguentemente annullato. Spiace per lei, ma sia lode al grande Poseidone, dio delle acque e mio liberatore! Penso che forse un santo in paradiso ce l’ho pure io. La bella sensazione dura poco, perché – si sa – il vero stronzo sa sempre come distinguersi. Nello specifico, si auto-invita ad una festa a casa di N., dalla quale era stato giustamente escluso, ma della quale era venuto a sapere da qualcuno (la classe dell’auto-invito è indiscutibile). Credevo peggio, ma è stato semplice ignorarsi vicendevolmente. Non ci siamo neppure salutati. L’ho intravisto un paio di volte osservarmi o commentare con qualcuno qualcosa che stavo dicendo, ma nient’altro. Ho visto una persona con poco da dire, incapace di relazionarsi con persone che non fossero i colleghi del suo gruppo. Una persona che si è fatta attorno terra bruciata, e senza aiuto da parte mia. Che poi il bello è quello: sicuramente pensa che sia io il grande burattinaio.
Ho visto una persona presentarsi ad una festa di addio di due amiche col solo intento di cercare di socializzare con chi sarebbe rimasto (come alla mia festa di addio, del resto). Ho visto questa persona andarsene senza nemmeno salutare le partenti. Chapeau.
Ho rivisto altri amici, a Oxford. Quelli del quiz. Ho scoperto che la fidanzata di M. in effetti esiste, e un po’ ci sono rimasta male.
Ho rivisto ex capo, col quale occasionalmente ora chiacchiero su WhatsApp. A quanto pare sono il suo unico contatto, a parte un pulitore di finestre (!). Me ne vanto.
Ho anche, in questi mesi, traslocato nella mia nuova casa. Ogni tanto ho incubi a base di coinquilini, ma poi mi sveglio da sola e tiro un sospiro di sollievo. Guardo fuori dalla finestra del salotto, vedo la cupola del Brunelleschi, e penso che poteva anche andarmi peggio.
Ho messo insieme qualche amica, ma dovrei smetterla di confrontare tutto con Oxford o Sydney. Devo darmi tempo.
Ho avuto un paio di “appuntamenti” con un ragazzo molto simpatico, ma temo che le nostre aspettative siano diverse. Ho paura di dover imparare come si fa a friendzonare (sigh) una persona, e temo di non avere le capacità.
Ho iniziato un corso di francese (ci sta), uno di yoga (alternativa a pilates), e uno di ceramica. Ceramica! Prevedo mensole piene di tazze e ciotole sbilenche.
Ho “corso” una DJTen. Mi interessava la maglietta.
Ho riscoperto i piccoli piaceri dell’Italia: tasse, accise e balzelli per qualunque cosa, ritardi e scioperi, inciviltà. Provo profonda ammirazione per gli stranieri che vengono qui e devono navigare la burocrazia, e non  nascondo che mi mancano i bei tempi delle buste paga con 2 o 3 voci al massimo e delle volture gratuite.
Ho visto l’Italia che non si qualifica ai mondiali per la prima volta in 60 anni, cosa che sinceramente speravo di non vedere mai.

Penso spesso all’Australia, e mi manca. A volte chiudo gli occhi e posso ancora andare a piedi da casa mia a Maroubra, scendere la collina e intravedere i primi surfisti. Posso farlo, in realtà, anche ad occhi aperti. Anche ora. Vorrei avere la certezza di poterci tornare presto, e non ce l’ho.

Tra mezz’ora è il mio compleanno. Non ho grandi programmi, non sarà memorabile. Forse dovrei fare bilanci, ma se li facessi non sarei del tutto soddisfatta. E quindi non li faccio.

Pasticcini, prosecco, e al prossimo anno.
On air: Noel Gallagher’s High Flying Birds – Holy Mountain

Nel 2016 ho imparato che…

… anche le persone che credevi affidabili, e che immaginavi ti sarebbero state accanto per il resto della vita, possono deludere in maniere che non ti aspettavi.

Nel giro di un paio di giorni, un’amicizia di quasi 13 anni è terminata. La cosa incredibile? Non se ne capisce il motivo. O meglio, il motivo credo sia molto chiaro nella testa della persona che unilateralmente ha deciso di mandare tutto in vacca, ma purtroppo non son degna di avere chiarimenti, o di replicare. Sicuramente è più semplice avere ragione quando l’interlocutore viene zittito.
Costui ha comunque fatto una grandiosa figura di merda in mondovisione, avendo lasciato perplessi in molti, oltre a me. Soprattutto se si pensa che uno, alla soglia dei 40 anni, ti blocca e ti bestemmia dietro per una foto (innocua) immediatamente cancellata. Che credo sia il “casus belli”, anche se penso ci sia altro sotto, ma chissà.
Ci son rimasta molto male, e mi sono amareggiata. Era una persona alla quale tenevo, con la quale ho condiviso molto, moltissimo. Se il p.d.m. è una merda, questo figuro vince a mani basse il trofeo di persona più disgustosa e spregevole della storia. Soprattutto dopo l’ultimo messaggio che mi ha mandato, così imbarazzante e carico di cattiveria e odio che veramente mi son chiesta chi cazzo di persona fosse questa a cui avevo dedicato tanti anni della mia vita.
La fine dell’anno mi è venuta in aiuto. Ho pensato che non valesse la pena traghettare nel 2017 una persona così cinica e piena di odio. Dopo la storia del p.d.m, mi ero ripromessa di non dare più corda a persone schifose, ciniche, negative (più di me), e in generale a chi cercasse di minare la mia autostima o la mia pace interiore. Ho iniziato buttando via un po’ di foto e oggetti vari. Una bella tela che avevo fatto con le nostre foto ha cessato di esistere in un cassonetto in via Irma Bandiera, appena fuori dal centro di Bologna. E poi, il 31/12, ho preso una sua foto, e – a casa di un’amica – le ho dato fuoco. Un piccolo incendio catartico. Non ne parlerò più. Ma è stato quasi commovente vedere la preoccupazione ed il supporto di amici vicini e lontani, unanimi nel considerare questa roba una assoluta follia, unita a manie di persecuzione ed ego smisurato e totale mancanza di umiltà. Perché, come ha fatto notare una mia amica, quelli che ti dicono “dovevi saperlo che cosa hai fatto” soffrono evidentemente di narcisismo patologico, e io di mestiere non faccio lo psichiatra. Tutto questo mi ha fatto riflettere molto su vari temi, primo tra tutti l’importanza di avere un lavoro. Non solo per quanto riguarda l’aspetto economico, ma principalmente per quanto riguarda la convivenza civile. Ché se uno avesse a che fare quotidianamente con dei colleghi (evidentemente non è il suo caso), imparerebbe l’arte del compromesso, e anche la diplomazia. Sembrano cazzate, ma stare solo a contatto con amici e parenti non fa bene. Magari un giorno si pentirà di quello che ha fatto, ma è troppo presuntuoso e supponente e orgoglioso per ammetterlo. Non chiederà mai scusa. Mi fa pena una persona così.

Per converso, il giorno dopo capodanno ho rivisto un vecchio amico ed ex collega. Di solito, quando torno in Italia e abbiamo tempo, ci vediamo per pranzo. Questa volta, mi è capitato il turno serale. Arrivare col buio, l’ufficio tranquillo, rifare alcune delle cose che facevo quando lavoravo lì… E’ stato come un flash back a più di 10 anni prima. Spenti i computer, siamo andati in cerca di un locale per una birra (missione più ardua del previsto). Ero uscita di casa alle 20 pensando di star via un’oretta o poco più, e dopo mezzanotte eravamo ancora lì a raccontarci la vita. C’è stato un momento in particolare che ho messo in cornice: dopo aver passato in rassegna i miei numerosi lavori e spostamenti nel mondo, a un certo punto mi ha detto, sorridendo: “Certo che ne hai fatta di roba, tu!”. E me lo ha detto con gli occhi pieni di sincera ammirazione, e forse un po’ anche di orgoglio, perché in fin dei conti io sono un po’ un suo “prodotto”, anche se alla fine ho cambiato completamente strada rispetto a quando lavoravamo insieme. In un attimo, ogni dubbio è sparito. Ogni perplessità si è dissipata. Ho pensato che sì, ho intrapreso un percorso incasinato e pieno di ostacoli e rotture di palle, ma strada ne ho fatta tanta, e tanti traguardi sono stati raggiunti. Non avrò raggiunto l’indipendenza e la maturità in senso stretto, o secondo i canoni previsti dalla società (casa di proprietà, matrimonio, figli, lavoro stabile…), ma, per dirla in maniera elegante, non sono neanche una povera sfigata. Ed è facile dimenticarselo, mentre ci si guarda attorno e si pensa solo a ciò che si vorrebbe e non si ha, invece di rendersi conto di quanto si vale.

Ho riflettuto sull’anno appena finito. Farò un piccolo bilancio, a breve. Di roba ne ho fatta, io.

 

Nostalgia nostalgia canaglia

… che ti prende proprio quando non vuoi…

L’autunno è per antonomasia la stagione della nostalgia. Se ci aggiungiamo poi che oggi, l’anno scorso, si partiva per una bella vacanza con Simpaticissimo, e che porco cane è stata talmente una bella vacanza che non riesco neanche ad odiarlo come vorrei… Beh. Diciamo che in questi giorni potrebbe andar meglio.
Per evitare incresciose imboscate di Facebook e dei suoi ricordi, ho de-taggato l’unica foto di me con lui, nella quale peraltro non compariamo noi ma un bellissimo tramonto sui tetti di Bologna. Del resto, pur volendo la comodità dell’agente di viaggi/guida turistica parlante italiano, temeva le chiacchiere degli amici comuni al fatto che fossimo in vacanza insieme. Il suo commento l’ultima sera, mentre dormiva nella MIA cameretta a casa MIA è bastato in effetti a distruggere in 3 parole 10 giorni per i quali io ero preoccupatissima e che invece erano andati meglio di quanto potessi sognare.
La mancanza di coscienza è sempre stata evidente, qualora avessi mai avuto qualche dubbio. Se penso che gli ho fatto conoscere il mio cane mi prenderei a sberle.

Ma forse, in fin dei conti, fa bene a me ricordare questo in positivo, piuttosto che accartocciare tutto e buttarlo nel fuoco. Se non altro non si è trattato di una forzatura, e portarlo a conoscere il mio paese è stata una bella esperienza anche e soprattutto per me. Tuttavia, il fatto che io sia (sfortunatamente?) dotata di ottima memoria fa sì che io ricordi praticamente ogni minuto di ogni singolo giorno di quel viaggio, e quindi a questo punto mi fermo perché altrimenti dalla malinconia passo alla depressione.

Una menzione speciale in questo post nostalgico è per il dipartimento dell’immigrazione australiano. Oggi ho fatto domanda per il visto turistico: ho compilato il modulo sul sito, inserito dati vari, cliccato invia. Mi arriva mail di conferma con documento allegato. Apro il documento e lo trovo indirizzato a me, al mio indirizzo di Sydney.
Amici dell’immigrazione, siete persone orribili e senza cuore.

 

On air, ovviamente loro.